E siamo arrivati al terzo racconto classificato, della seconda edizione del Masterbook 2025.
Nei numeri precedenti, potrete leggere anche il racconto vincitore e il secondo classificato.
Andiamo a svelare il volto dell'autrice del terzo racconto sul podio?
Giovanna Agata Lucenti, già autrice di Edizioni Convalle con la silloge poetica "Quando piccole storie si vestono di poesia".
Poetessa da sempre, con la sua penna raffinata e piena di emozioni, scrive anche racconti da anni, che l'hanno portata alla vittoria anche in altri premi letterari.
E anche questa volta si è piazzata nella rosa dei primi tre.
Ma andiamo a leggere! Eccolo qui.
LE FERITE DEL CUORE
Capitolo uno
La consapevolezza
Quante storie può contenere uno sguardo?
Quante vite di continuo sfiorano i giorni della nostra esistenza?
Queste e altre domande si accavallavano nella mente di Teresa, mentre
tornava a casa dopo la consueta ed estenuante giornata al
supermercato dove lavorava come cassiera.
Non era tanta la strada da percorrere per arrivare alla sua abitazione,
ma quella sera la donna non aveva nessuna fretta di rincasare e chissà perché
si sentiva più sola del solito.
Si era trasferita da qualche anno in città, lasciando il paesino dove era
nata e aveva vissuto fino ad allora.
Certe direzioni vengono dettate più dal cuore che dalla mente e Teresa
sapeva bene ciò che lasciava, ma aveva avuto più che mai bisogno di cambiare
aria, di sfuggire a una mentalità opprimente; o forse voleva solo nascondersi in
mezzo a volti sconosciuti.
Lasciare la casa dei genitori era stato l’unico modo di provare a sé stessa di
potercela fare da sola e non dovere rendere conto a nessuno delle sue scelte,
del suo modo di vivere; si era sentita più forte e realizzata.
Fatto sta che
tutto questo cominciava a non bastarle più e le giornate sembravano
scorrere tutte uguali portandosi via, poco alla volta, tutta la gioia e
l’entusiasmo che avevano contraddistinto il primo periodo vissuto da sola.
Appena rientrata, aveva appoggiato sul tavolo la spesa fatta durante una
pausa al supermercato dove lavorava, avrebbe dovuto iniziare a cucinare ma
infine era sprofondata sul divano con il solito panino preparato alla svelta
e una birra.
Per un po’ le avrebbe fatto compagnia una nuova puntata di qualche serie
che stava seguendo e poi, chiuse le persiane, sarebbe andata a dormire, dopo
avere letto qualche pagina del libro poggiato da tempo immemorabile sul
comodino.
Insomma, la monotonia di una vita degna di un’anziana signora, non certo
di una donna appena trentenne.
Ma era questo che aveva con forza desiderato per sfuggire allo squallore
di una falsa esistenza, di un amore che si era rivelato per quello che era:
un’enorme bugia!
Gli si era data con tutta sé stessa, credendo a tutto ciò che le diceva,
bevendosi in maniera letterale tutte le stronzate che le sussurrava
all’orecchio, salvo, dopo un momento, fare il cascamorto con la prima venuta.
Si chiamava Angelo e mai nome era stato meno appropriato.
Era un tasto che, se solo sfiorato, faceva ancora male, ma aveva avuto la forza
di chiudere tutte le porte e andare avanti, anche se lui le aveva spergiurato
che, per lei, sarebbe stato capace di cambiare.
Teresa non aveva più voluto saperne, e quel periodo di preparativi per un
matrimonio, che poi non si era celebrato, restava ancora il suo peggiore incubo.
Genitori, parenti, amici si erano prodigati per starle vicino, qualcuno
le aveva anche consigliato di chiudere un occhio, perché in fondo non è
successo niente d’irreparabile, che vuoi che sia una scappatella
prematrimoniale… Così dicevano, e a Teresa veniva la nausea: non l’avevano
trovato loro a baciarsi dietro il portone con la vicina di casa, mentre la
credeva al negozio per la prova dell’abito da sposa!
Se quel giorno la sarta non avesse deciso di farsi
beccare da una brutta intossicazione, Teresa sarebbe andata avanti ignara di
tutto e magari l’epilogo, dopo un po' di tempo, sarebbe stato lo stesso. Ma
molto meglio non avere calcato il suolo di quella chiesa che fin da piccola
l’aveva vista ricevere i primi sacramenti. Senza dubbio le era andata di lusso.
Teresa si era meravigliata di sé per la freddezza e la lucidità
con le quali era riuscita a gestire la situazione, era fiera di essere riuscita
a lasciarsi tutto alle spalle: i quasi dieci anni di fidanzamento, la casa dei
genitori, il suo paese.
Si era trasferita nella grande città e lì aveva iniziato un nuovo
capitolo della sua vita. Aveva trovato lavoro ed era
riuscita anche a riprendere gli studi universitari interrotti da tempo.
In breve, si era fatta benvolere da tutti; quella ragazza dai capelli di
un rosso dorato e dagli occhi verdi non passava certo inosservata, ma era il
suo buon carattere e la grande disponibilità verso gli altri che la rendevano
speciale.
Al lavoro non si risparmiava e aveva una parola gentile per tutti, anche
i clienti la trattavano come una persona di famiglia. Lei, dal canto suo, era
sempre sorridente e svolgeva il suo lavoro con grande puntualità e precisione.
Le piaceva quel lavoro che la metteva ogni giorno in contatto con le persone più svariate, ormai riconosceva i volti e i nomi dei clienti abituali del
quartiere e avrebbe potuto anche elencare i loro gusti; non era raro
raccogliere anche le loro confidenze fra una spesa e l’altra.
Era come un viatico per lei non pensare alle proprie vicissitudini e
immergersi nei problemi degli altri; certo, non poteva risolverli, ma aveva capito che le persone vogliono
soprattutto essere ascoltate e questo bastava per guadagnarsi la simpatia di
giovani e anziani.
Ecco il perché delle riflessioni scaturite quel giorno dalla sua mente,
mentre tornava a casa.
Era come se qualcuno le suggerisse di dare il giusto peso a quello che le
era successo e che in fondo nella vita sono altri i veri problemi.
Si era riscoperta un’anima osservatrice e, conoscendo ormai troppo bene
gli abituali avventori del negozio, riusciva a cogliere i loro cambiamenti
d’umore, le giornate difficili e anche le loro sofferenze.
Aveva ancora negli occhi il viso di Adele.
Quella mattina la ragazza era entrata al supermercato con dei vistosi
occhiali neri e, dopo avere sistemato il bambino nel seggiolino del carrello,
aveva fatto la spesa in maniera frettolosa, posizionandosi, poi, alla cassa
di Teresa; l’aveva salutata in maniera sfuggente, senza attardarsi come le
altre volte a scambiare qualche parola. Non si era nemmeno accorta che Teresa
porgeva la solita caramella al bambino, che non avendola potuta afferrare
perché trascinato dalla madre, piangeva disperato.
Sapevano tutti, nel quartiere, che Adele aveva un compagno non certo facile
da gestire, ma quello era un tasto che la ragazza non toccava mai volentieri e
Teresa l’aveva capito.
Seduta sul divano, la donna non poteva fare a meno di pensare a
quale genere di esistenza conducesse quella ragazza, con un uomo violento e un
bambino da crescere.
Come avrebbe potuto aiutarla? Mentre ci pensava, la stanchezza l’aveva
vinta e, come al solito, si sarebbe addormentata davanti allo schermo; presto si sarebbe trascinata nella camera da letto, anche se non
l’attirava molto l’idea di infilarsi sotto le coperte ghiacciate.
Erano questi i momenti in cui le mancava di più la madre, lei non si
sarebbe certo dimenticata di farle trovare lo scaldino dentro il letto. Sapeva
bene che non era tanto lo scaldino in sé stesso che le mancava, ma proprio quel piccolo gesto
che la faceva sentire accudita e importante per qualcuno.
Avrebbe dovuto chiamarla già da qualche tempo, e si era addormentata con
il proponimento di farlo quanto prima il giorno dopo.
Capitolo due
L’importanza di esserci
Il suono delle casse, quella mattina, era più convulso del solito e, come
in tutti i supermercati nel giorno di sabato, non si aveva un attimo per fiatare. Tutti di fretta, impazienti e con le facce tutt’altro che rilassate,
facevano la fila per pagare con i carrelli stracolmi di acquisti.
«Signorina, questo prodotto è ancora in offerta o è scaduto il tempo?»
«Signorina, la tessera punti è finalmente disponibile o c’è ancora
d’aspettare?»
In giornate come quelle, Teresa faticava a mantenere la solita
gentilezza, ma bastava intravedere qualche volto conosciuto che le accennava un
sorriso comprensivo e ritrovava la carica per andare avanti.
Per la signora Maria, che la conosceva ormai da tempo, il volto di Teresa
era un libro aperto e, mentre infilava la sua spesa nelle buste, la guardava
sorridendo.
«Giornatina niente male, eh? Se quando smonti vuoi passare da me, una
tazza di camomilla non te la leva nessuno.»
«Grazie Maria, ma mi sa tanto che sceglierò qualcosa di più forte!»
L’anziana donna le mandò un bacio, sfiorandosi la bocca con la mano, e si
allontanò seguita dallo sguardo riconoscente della ragazza.
Teresa, quel giorno, rientrò più stanca del solito, ma pensando già alla
domenica di riposo che l’aspettava.Avrebbe voluto fare tante cose, ad esempio andare a trovare i suoi, che
non vedeva da tempo; magari, appena arrivata a casa, li avrebbe avvisati del
suo arrivo l’indomani.
Si sarebbe dovuta mettere in auto alle prime ore del mattino, ma l’aspettava solo un
tranquillo sabato sera in casa e quindi sarebbe andata a letto presto.
Ma non aveva fatto i conti con una visita inaspettata.
Seduti sugli scalini davanti alla porta di casa c’erano Adele e il bambino
che dormiva fra le sue braccia.
La giovane donna aveva il viso disfatto dalle lacrime e un labbro gonfio.
«Adele!» riuscì a dire Teresa e, senza farle domande, le poggiò una
mano sulla spalla. «Entra, presto! Fa freddo qui fuori.»
«Scusa, Teresa, non sapevo dove andare. Lui è uscito, ma quando tornerà
sarà più ubriaco di prima, e io ho paura soprattutto per il bambino. Ho provato
a resistere, a credere ai suoi giuramenti, ad aspettare un cambiamento, ma non
posso più rischiare. Diventa una bestia, ho paura per mio figlio…»
La ragazza continuava a parlare come un fiume in piena, tremando e in
evidente stato confusionale; non aveva portato niente con sé, era scappata nel
senso letterale del termine.
«Va bene, Adele, ma ora calmati, entra e siediti un attimo. Qui sei al
sicuro, okay?»
Teresa le parlava cercando il suo sguardo. Gli occhi della ragazza erano
ancora atterriti e si guardava intorno come se si aspettasse che qualcuno
sbucasse all’improvviso da un momento all’altro.
Indossava un vestito da casa e il piccolo giubbotto copriva a malapena
solo il bambino.
Ci volle un po' di tempo perché ritrovasse il controllo e un pianto
silenzioso fu il segnale della fine di una grande paura. Teresa aveva preso
Mattia, il bambino, dalle braccia della madre e l’aveva coricato piano piano
sul divano, fra i cuscini.
«Calmati adesso, Adele, ti ha vista qualcuno mentre venivi qui?»
«No, non mi sembra e lui non sa che siamo amiche.»
«Bene. Ora io devo uscire a prendere il necessario per il bambino, non mi
sembra tu abbia portato qualcosa con te… La farmacia è a due passi, non mancherò per tanto, tranquilla.»
Per un attimo Teresa vide di nuovo la paura negli occhi della donna, ma
con un sorriso e una carezza cercò di rassicurarla e, chiudendo la porta dietro
di sé, attraversò la strada di fretta ed entrò in farmacia, appena in tempo prima della chiusura.
Mentre tornava a casa, l’insegna luminosa della caserma dei Carabinieri
colpì il suo sguardo e capì che quanto prima la vicenda doveva essere portata a
conoscenza di chi di dovere; avrebbe parlato con Adele per convincerla a
sporgere denuncia, ora non era più sola ad affrontare il suo dramma.
Rientrata a casa, trovò Adele che dormiva vicino al suo bambino, era
crollata e aveva il viso di chi avesse ritrovato infine un po' di pace.
Teresa pensava che il compagno di Adele si sarebbe presto messo alla ricerca
della ragazza e del figlio, e per questo era consapevole che la cosa più urgente
da fare fosse portare al più presto i due in un posto sicuro.
Quale occasione migliore della visita ai suoi genitori?
Il paese si trovava abbastanza lontano dalla città e avrebbe potuto
essere un rifugio ideale per Adele.
Partirono così la mattina presto e arrivarono dopo un viaggio tranquillo di quasi
due ore.
Mattia era stato buonissimo e spesso si rivolgeva a Teresa chiamandola
Tetè, tirandole la maglietta da dietro il sedile e facendo sorridere le due
donne.
Teresa, pur in apprensione per la situazione, pensava che non si era
sentita così viva da tempo e, avvicinandosi al suo paese, aveva sempre più la
consapevolezza di quanto le fosse mancato.
Riconosceva gli alberi e le stradine che l’avevano vista bambina con la
sua immancabile bicicletta e capiva di averne sentito la mancanza, di avere
lasciato un pezzo di sé in quei luoghi cancellati quasi a forza dalla
sua mente.
Dallo specchietto retrovisore osservava il viso di Adele e mai come in quel momento si era accorta di quanto fosse giovane, di come avesse tutta la vita davanti. I
lividi sul viso le davano un’aria tragica ma sarebbero prima sbiaditi e poi
svaniti del tutto con il tempo. Per le ferite del cuore ci sarebbe
voluto di più, ma la serenità e il sorriso del suo bambino avrebbero di certo
operato il miracolo.
Appena imboccata l’ultima curva, si sentì stringere il cuore rivedendo la
sua vecchia casa dai tetti di un rosso stinto dal tempo e le finestre verdi che
ogni anno il papà ridipingeva; di colpo si ricordò che non aveva nemmeno
avvisato i genitori del suo arrivo.
Si annunciò con un timido suono di clacson. A quell’ora del mattino i
suoi dovevano già essere svegli da un pezzo e un leggero profumo di caffè
aleggiava nell’aria, man mano che le donne si avvicinavano. Mattia era voluto
scendere dalle braccia della madre e ora camminava incerto sulla ghiaia del
vialetto che conduceva alla piccola porta di casa.
Adele camminava attaccata a Teresa, guardandosi attorno e aspettando con
ansia il momento in cui l’uscio si sarebbe aperto, non sapendo che tipo
d’accoglienza avrebbero avuto.
Ma la signora Tina aveva riconosciuto il clacson della macchina della
figlia e già le correva incontro, asciugandosi le mani nel grembiule, mentre a
voce alta diceva: «Antonio, ma è la nostra Teresa, non ci senti?»
L’uomo, arrancando dietro di lei, si grattava la testa spostandosi di lato
il cappello che usava per proteggersi dal sole della campagna.
«Ma tu guarda se questo è il modo d’arrivare, senza nemmeno avvertire
prima, è così che si ragiona?» ma intanto abbracciava la figlia e stringeva la mano ad Adele, mentre
Mattia si nascondeva dietro la gonna della madre. Teresa era riconoscente ai
genitori per non avere fatto tante domande e per la cordialità nei
confronti di Adele, senza parlare del piccolo che li aveva già conquistati.
«Che bel bambino! Entrate, il caffè è ancora caldo.»
Teresa aveva dimenticato quanto fosse accogliente la sua cucina, pur così
semplice…
Quante volte aveva scostato quelle tendine a quadretti rossi dalla
finestra, per vedere se era arrivato Angelo... Ma cosa andava a pensare? Non
era questo il motivo che l’aveva portata di nuovo a casa.
Bisognava mettere al corrente della situazione i suoi genitori. Lei sarebbe potuta rimanere poco, ma Adele aveva bisogno
di più tempo.
Sedute attorno al tavolo con Mattia che sbriciolava dei biscotti in una
tazza di latte, le due donne cercarono di spiegare cos’era successo. In verità, era Teresa a parlare, mentre Adele si limitava ad annuire tenendo gli occhi
bassi, tanto che a un certo punto il papà era sbottato dicendo: «Mica ti devi
vergognare tu, è quel farabutto che dovrebbe scomparire dalla faccia della
terra!»
«Ma non è stato sempre così…» aveva sussurrato Adele, e tutti si
erano girati a guardarla. «Volevo dire che magari ha bisogno d’aiuto, è cresciuto senza i genitori,
affidato agli zii che lo hanno solamente sfruttato. Quando ci siamo conosciuti,
era pieno di buone intenzioni, aveva un lavoro stabile da carpentiere, ci
volevamo bene e siamo andati a vivere insieme. Anch’io ho perso i miei genitori
da piccola e lo capivo se qualche volta si dimostrava brusco con me. Poi
l’hanno licenziato e io ero già incinta di Mattia. Siamo andati avanti per un
po’ con la piccola liquidazione che gli avevano dato, ma ha iniziato a bere e
tutto è precipitato. Nessuno, vedendolo così, gli ha più offerto un lavoro serio. Stavamo
andando avanti con quel poco che guadagnavo facendo le pulizie presso lo studio
di un avvocato, che mi permetteva anche di portare il bambino con me. Ma ogni
suo ritorno a casa ormai si era trasformato in un incubo e sono scappata.
Dovevo farlo, soprattutto per Mattia.»
Aveva parlato di getto, con la voce
rotta e con la disperazione di chi cerca in tutti i modi di dare e darsi una
spiegazione del perché una persona sulla quale aveva riposto tutta la propria
fiducia, si fosse trasformata in un essere violento e irrazionale.
I genitori di Teresa l’avevano rassicurata sul fatto che poteva stare con
loro tutto il tempo che voleva; la stanza della figlia era spaziosa e oltre a
un grande letto matrimoniale aveva anche un comodo divano.
Insomma, neanche nelle più rosee aspettative, Adele si era augurata
tanto.
Teresa, con la sua dolce disponibilità, fin dal primo giorno in cui
l’aveva vista al supermercato, le aveva suscitato un senso di confidenza, di
familiarità, sapeva che su di lei poteva contare.
I suoi genitori, poi, l’avevano subito accolta senza porsi troppi
problemi e lei pensava già a come poterli ringraziare.
Di una cosa era certa: non sarebbe stata più sola.
Terzo capitolo
Un nuovo inizio
Era stato un pranzo speciale.
La mamma, come sempre, aveva dato il meglio di sé, e anche Mattia aveva
mostrato di gradire i piatti semplici ma gustosi della donna. Antonio, il papà
di Teresa, si era seduto vicino al bambino e, all’occorrenza lo imboccava,
anche se si divertiva a guardare come s’impiastricciava mentre mangiava da
solo. Teresa osservava i genitori e rifletteva su quanto fosse stata
fortunata ad averli, era proprio vero che molte volte diamo per scontate le
cose che abbiamo e non ci accorgiamo del grande valore che hanno, se non quando
qualcosa o qualcuno ce ne fa prendere coscienza.
Sarebbe partita il giorno successivo per ritornare al lavoro, ma
sapeva già che non avrebbe potuto restare troppo a lungo senza vedere i genitori come
una volta.
Grazie ad Adele, aveva riflettuto a lungo sulla sua scelta di
allontanarsi e sui motivi che l’avevano portata a questa decisione. Adesso le
sembravano cose talmente futili e lontane che quasi si vergognava di sé stessa.
Quella donna aveva vissuto l’inferno, eppure era ancora pronta ad assolvere e
giustificare chi le aveva fatto del male, mostrando una maturità e una
misericordia che lei non aveva dimostrato certo di avere. Aveva voltato le
spalle a tutto e a tutti, aveva chiuso il suo cuore a ogni possibilità di
rinascita.
La sera, sedute vicine nel portico di casa, mentre i genitori e Mattia
già dormivano, le due donne parlarono a lungo della loro vita, e Adele
rimproverava Teresa per ciò che pensava di sé stessa.
«Non è vero che hai chiuso il tuo cuore, hai tanto amore da dare e io ne
sono la prova. Hai saputo accogliermi senza se e senza ma e di questo te ne
sarò grata in eterno.»
E si erano strette le mani restando ad ascoltare il silenzio della sera.
Il giorno dopo, Teresa fece ritorno in città, in tempo per iniziare il turno di lavoro. La mattina era volata e al ritorno a casa l’aspettavano tante
cose da sistemare, voleva anche preparare una materia d’esame e aveva già
programmato di portarsi i libri quel fine settimana a casa dei genitori; magari, pensava, sarebbe riuscita a combinare qualcosa.
Mentre tornava a casa, aveva avuto l’impressione di essere seguita e
quando un uomo aveva girato l’angolo insieme a lei, ne ebbe la certezza. Le si
era parato davanti, non poteva essere che lui.
«Non voglio spaventarti» e si era seduto sul marciapiede, tenendosi la
testa tra le mani. Il viso di chi non aveva dormito molto e gli abiti spiegazzati.
«Io sono Nico, tu devi essere Teresa.»
La ragazza aveva annuito con la testa, senza parlare.
«Adele mi ha parlato tanto di te e della tua gentilezza, sei quella che
dà sempre le caramelle a Mattia…»
Era rimasto in silenzio per un po’, come per
avere il tempo di trovare le parole giuste.
«Adele se n’è andata e penso tu lo sappia. Stai tranquilla, non voglio
prendermela con te, non voglio sapere nemmeno dov’è, mi devi dire solo se ora
lei e il bambino stanno bene. Solo questo.»
«Sì, Nico, stanno bene e tu devi lasciarli in pace.»
L’uomo teneva la testa bassa, l’atteggiamento di chi sa di non potere
chiedere niente.
«So di essermi comportato come una bestia e che non potrà mai perdonarmi,
non mi perdono nemmeno io e ho paura di non riuscire a cambiare, per questo è
meglio che stia lontano da me. Sto iniziando ad andare in un centro recupero
per alcolisti, mi hanno trovato anche un piccolo lavoro. È comunque un inizio. Adele è
stata fortunata a incontrarti. Grazie...»
E se n’era andato così, le mani nelle tasche e senza nemmeno aspettare
che Teresa gli rispondesse.
La ragazza lo aveva guardato allontanarsi, ripensando alle parole di
Adele, non è stato sempre così…
Quel fine settimana, Teresa tornò al paese, aveva preso anche qualche
giorno di ferie e ne avrebbe approfittato per studiare e godersi la vicinanza
dei genitori, di Adele e Mattia.
Si sentivano spesso al telefono e capiva quanto i suoi si stessero sempre
più attaccando alla ragazza e al bambino. Adele, dal canto suo, era un valido
aiuto per la signora Tina che, ormai avanti con gli anni, non disdegnava di
essere aiutata. Mattia trascorreva buona parte della giornata anche con
Antonio, il suo gioco preferito era andare nel pollaio a rincorrere le galline,
sotto lo sguardo divertito dell’uomo e mai come ora, alla figlia, il padre era
apparso più arzillo e rinvigorito.
Teresa, poi, aveva raccontato ad Adele dell’incontro con Nico e delle sue
parole; aveva visto il viso della ragazza addolorarsi. I lividi erano scomparsi
quasi del tutto, ma ci sono altri segni che rimangono in maniera indelebile
negli sguardi delle persone e appannano gli occhi con una profonda tristezza.
Nonostante questo, Adele sperava nel profondo del cuore che un giorno il suo
Nico facesse ritorno.
Il pomeriggio dell’ultimo giorno di ferie, Teresa era scesa in paese per
sbrigare delle commissioni per la mamma, non erano tante le cose che doveva
acquistare e aveva preferito andare in bicicletta.
Il cielo era diventato grigio e minacciava di piovere, la
ragazza si stava affrettando a sistemare le buste quanto meglio possibile nel
cestino della bici, quando una voce maschile conosciuta l’aveva fatta trasalire
per un attimo.
«Teresa, forse è meglio che ti dia un passaggio se non vuoi arrivare a
casa zuppa di pioggia, rischi di prenderti un malanno.»
«Angelo! Mi hai fatto spaventare… Che ci fai qui?»
«Io ci vivo e tu?»
La guardava divertito come solo lui sapeva fare.
«Ho trascorso qualche giorno con i miei, domani torno in città.»
Silenzio.
«Vieni, mettiamo la bici nel cofano, ti accompagno io; sempre se non ti
dispiace...»
«Va bene, grazie.»
Come sembrava strano, a Teresa, ritrovarsi accanto ad Angelo dopo tanto
tempo, era sempre bello e qualche rughetta in più agli angoli degli occhi gli
conferiva ancora più fascino. Aveva distolto lo sguardo dal suo viso
quando aveva iniziato a parlarle.
«Come stai? Ti trovi bene in città? Non sei cambiata per niente.»
«Anche tu… Sto bene, faccio un lavoro che mi piace e ho ripreso
l’università, e tu?»
«Sono riuscito a laurearmi in ingegneria e trascorro molto tempo
all’estero, ho comprato una piccola casetta vicino ai miei e appena posso
ritorno qui; ogni volta passo a trovare anche i tuoi. Ho tanti ricordi belli…»
Altro silenzio.
Il finestrino socchiuso aveva fatto rabbrividire la ragazza che si era
stretta di più sulle spalle la piccola giacchetta di lana.
Tante domande restavano sospese nell'aria e nessuno dei due le proferiva.
Fu Angelo a rompere ogni indugio.
«Vivo solo e non sono sposato, questa fesseria l’avrei potuta fare solo
con te.»
«Anch’io» aveva detto in maniera impercettibile Teresa.
Nel frattempo erano arrivati e l’uomo aveva fermato la macchina dove lo
faceva di solito, molti anni prima.
Mentre Teresa stava scendendo, le aveva preso la mano e guardandola negli
occhi le aveva sussurrato: «Le persone cambiano, Teresa, ricordalo!»
Sì, lei lo sperava anche per chi ormai faceva parte della sua
famiglia; doveva decidersi a riparare le vecchie ferite, riaprire quel cuore
che le era sembrato chiuso per sempre a certe emozioni.
Aveva ripreso la bicicletta e si era avvicinata a casa, poi si era
fermata voltandosi a guardare ancora una volta Angelo che aspettava di vederla
entrare.
Gli fece un cenno con la mano.
Lui non aspettava altro.
§§§
Complimenti a Giovanna Agata Lucenti per questo bel racconto e complimenti di nuovo alla seconda classificata, Valentina Ciocca e alla vincitrice, Linda Silvia Scarpenti.
Complimenti anche alle altre quattro finaliste e a tutti i partecipanti di questa edizione del Masterbook.
Abbiamo giocato, ci siamo divertiti, emozionati, in una girandola di esperimenti di scrittura che ho pensato per voi.
Il Masterbook chiude, e tornerà quando meno ve lo aspettate, alla ricerca di concorrenti coraggiosi e abili con la penna.
Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle